“Non bisogna sottovalutare la nostra capacità di provare desideri complessi. Nostalgia per i materiali della civiltà messi al bando, per la forza bruta di vecchie industrie e vecchi conflitti". Così uno dei personaggi del romanzo Underworld, di Don DeLillo, descriveva la sua passione per i rifiuti e la spazzatura, gli scarti di umanità gettati.
Spazi@Rendere nasce dal desiderio, individuale e dei blogger, di capire la complessità con la quale alcuni spazi sono occupati. Complessità nel senso di composizione molteplice di storie, esperienze e incontri che ci hanno condotto a parlare dunque di spazio antropizzati; anzi, più precisamente, di ‘vuoti di spazio’: luoghi abbandonati, centri disabitati, stazioni e complessi industriali dismessi, cave, basi militari, ospedali, scheletri di cemento. Messi al bando, vecchi, logori, fradici, distrutti, vilipesi. Vuoti, appunto: svuotati di senso, di identità, marchiati dall'abbandono. Traditi dalla nostra memoria, da una guerra, da un sisma, da una frana, da ragioni di mercato. Vorremmo che questi spazi -che sono stati, che potevano essere e mai sono stati, o che mai più saranno, vivi- vengano resi nella loro schiettezza, restituiti alla collettività e alla sua percezione, come spazi in grado di contribuire a capire chi siamo e cosa ci spinge ancora a organizzare territori, a gestirli e deciderne i destini a nostro consumo e piacimento. Ecco, questo è lo scopo: restituirne un senso. Che ciò che proponiamo provochi curiosità, meraviglia o indifferenza, non ci è dato saperlo. Ciò che conta è far sapere che tali spazi esistono, palpitano per qualche motivo nonostante corsi e ricorsi storici premano per il loro silenzio. E quel motivo, di per sé, racchiude qualcosa di molto più grande: il passato, semplicemente, che si fa Storia, ed è presente e futuro di altre storie, che ognuno suggella con emozioni, esperienze e racconti. Questi sono i nostri spazi, realtà di provincia, terre ai margini, vecchi cuori pulsanti, ora soppiantati da rovi. Spazi, ormai vuoti, resi, ma non arresi.
Il sito è semplice ed intuitivo, per cui non ha bisogno di particolari presentazioni. Vi invitiamo soltanto a prestare attenzione alla sezione "Spazi Resi", archivio per categorie dei luoghi visitati. A sinistra, in ogni pagina, una mappa agevolissima in cui indicheremo gli Spazi@Rendere man mano visitati.
Alla sezione "Contattaci" potrete segnalare altri spazi@rendere che ritenete interessanti, descrivendoli brevemente nei loro tratti salienti. Attendiamo i vostri commenti.
KOLMANSKOP: UN PO' DI DIAMANTI, PER SEMPRE
- Dettagli
- Pubblicato Lunedì, 29 Settembre 2014 09:45
KOLMANSKOP E I CERCATORI DI DIAMANTI
Prima volta di (parte di) Spazi A Rendere all'estero. Visto che il lavoro prende fin troppo del nostro tempo, programmare a lungo termine la vacanza estiva aiuta a svagare dagli esperimenti e dai cattivi pagatori. I sabato mattina si passano pertanto a fantasticare, e poi scegliere e programmare dove ci porterà la nostra testa il prossimo agosto. Tra gli obiettivi iniziali c’era il degrado post sovietico, poi da buoni bipolari abbiamo optato per l’Africa. Tra le varie tappe Kolmanskop, città fantasma nel deserto del Namib, in Namibia. Tutto era eccitante: il rosso del deserto modellato dal lavorio erosivo del vento, l'altezza esagerata delle dune, l’oceano e infine una città fantasma di vecchi cercatori di diamanti. In quei giorni le emozioni e il cazzeggio correvano su Whatsapp tra l'Italia, l'Europa, l'Africa e l'Australia.
Erano gli inizi del ‘900 quando un ferroviere per caso si trovò un diamante tra le mani. Da quel giorno per quasi mezzo secolo quel luogo divenne una colonia tedesca dove ci fu una intensa estrazione di diamanti. In questo piccolo agglomerato di case costruirono ospedali, sale da ballo, un teatro, scuole e addirittura un casinò. Fu abbandonata definitivamente nel 1954 facendo spazio solo alla violenta forza del vento che riempie quegli spazi di fine sabbia dorata.
Percorriamo circa 500 km su strade sterrate dal Sossusvlei a Luderitz, la città più vicina a Kolmanskop, architettura bavarese dai colori pastello, retaggio della colonizzazione tedesca di fine ‘800. In Namibia, ad agosto, fa buio molto presto e alle 18.00 sembrava gia’ di essere nel cuore della notte. Arriviamo a Luderitz verso le 20.00 di una fredda domenica di agosto. Un paesaggio spettrale: una città deserta senza né uomini né auto. Solo semafori lampeggianti, un vento gelido e lo scrosciare rumoroso delle onde oceaniche di sottofondo. Cerchiamo un posto per mangiare e troviamo solo un piccolo locale di spaccio alimentare con due individui, diciamo cosi, non proprio raccomandabili. Ci spiegano che la domenica sera è il giorno di riposo e sarà difficile trovare qualcosa di aperto soprattutto ad ora tarda. Pertanto si rimane in giro con la macchina per studiare il miglior posto dove parcheggiare e trascorrere la notte. Sembra di essere nell'atmosfera tetra di Spoon River, dove i fantasmi con le loro vite riecheggiano sulla collina.
Di buon mattino ci sveglia ancora quella pioggia sottile che cade sul tettuccio dell’auto, condensa sui vetri, mentre dalla cittadina che inizia a svegliarsi echeggiano flebilmente i primi accenni di quotidianita'. Il vento porta con se’ la sabbia e la nebbia densa avvolge tutto in un atmosfera ancora più misteriosa e spettrale. Ci immergiamo in questo paesaggio per dirigerci alla città fantasma di Kolmaskop. Il più delle volte i luoghi famosi e tanto attesi luoghi lasciano qualcosa di deludente, ma non è il caso di Kolmaskop. Sembravamo bambini in un Luna Park, d’altronde non sono i nostri paesaggi e non è il nostro quotidiano. Non possiamo accendere la lampadina dei ricordi e anche immaginarsi il passato in quelle case e stradine invase dalla sabbia era piu’ difficile. Ma tremendamente affascinante. Speriamo di aver raccolto un po’ di quel fascino con le nostre foto, che probabilmente, mai come stavolta, non hanno davvero bisogno di parole. A Kolmanskop, un diamante e' per sempre.