'60'S STYLE: A CONSONNO TUTTO ERA MERAVIGLIOSO
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- Creato Domenica, 08 Settembre 2013 17:35
- Ultima modifica il Martedì, 10 Settembre 2013 09:03
- Pubblicato Martedì, 10 Settembre 2013 08:01
- Scritto da Sandro Montefusco
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Testo di Giuseppe Forino
La colonna padovana, febbricitante (poteva mancare), di Spazi@rendere allarga il giro e trova altri quattro desperados (gente di pianura e di zanzare ferraresi) per la visita a un posto affascinante, antenato degli shopping mall, sbattuto sui monti della Brianza: Consonno, frazione di Olginate (Lecco). La storia di Consonno è famosa tra gli "addetti ai lavori" (noi urbex esplorers, o poeticamente flaneurs). Su Internet si trovano molti testi, immagini e video e qualche tempo fa ne parlò anche Repubblica Parma. Se ne parla in maniera approfondita qui, in un blog specifico. Consonno ci riporta ai rampanti anni ’60, dove le vacanze e lo shopping diventavano più status symbol che reali necessità per i possessori della fabbrichetta eccitati dalle loro nuove Fiat o Alfa Romeo: le prurigini (piccolo) borghesi dovevano trovare valvola di sfogo, e quale posto migliore di un remoto borgo montano con i prezzi dei terreni a quattro soldi, comunque abbastanza vicino alle ridenti località vacanziere del lago di Como e dei rampolli lombardi, da poter trasformare a uso e consumo di ciò che questi richiedevano? Consonno consisteva all’epoca di quattro case in croce sulla montagna brianzola, sotto protezione del patrono San Maurizio. Il conte Mario Bagno, imprenditore edile in odor di investimenti (compra un terreno, cambia destinazione d’uso e i soldi triplicano) fiutò affari d'oro, comprò a poco prezzo le povere abitazioni, le abbatté e iniziò a costruire una piccola Las Vegas d’Italia (che pure quella americana fa schifo eh?). Il piccolo borgo diventa un’accozzaglia di stili per esigenze disparate e per far divertire chi avrebbe deciso di trascorrere giornate spensierate in quello che si può ragionevolmente definire come il prototipo del centro commerciale e del parco giochi fuori città, in cui fare shopping, mangiare un boccone, far giocare i bimbi con le palle colorate e trovare il tempo per una lampada abbronzante. Una delle prime tracce dei centri commerciali, dunque: quelli che oggi mangiano il paesaggio, spengono il cervello e bombardano con il consuma-e-crepa. Come scritto sempre sul sito dedicato a Consonno: ”Per Consonno….gli anni ruggenti… raggiungono il loro apice tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta. Migliaia di persone raggiungono la Las Vegas della Brianza, la città dei balocchi in cui si trova di tutto. Da un improbabile minareto ad una galleria di negozi in stile arabeggiante, da cannoni a armigeri medioevali in posizione di sentinella, da sale da gioco a sale da ballo, da sfingi egiziane a pagode cinesi, da colonne doriche al "Grand Hotel Plaza". Consonno è un grande centro di divertimento che funziona a pieno regime. Ci sono serate danzanti, grandi ospiti (dai Dik Dik a Pippo Baudo e numerosi cantanti degli anni Sessanta), le luci sono sempre accese in questo mondo multicolore in cui tutto invita al divertimento e alla spensieratezza”. Purtroppo oggi non c'è moltissimo di cannoni, pagode, sfingi. Negli anni passati già un bel po' di cose sono state rimosse. Resta pertanto il rimpianto di non poter godere appieno del complesso parco giochi- centro commerciale-ricchi premi e cotillon, comunque questo passa il convento, ce lo facciamo bastare e possiamo assicurarvi che è affascinante uguale, se non altro per l'utopia visionaria che una sperduta località montana era riuscita a innescare negli occhi a forma di lira di un furbo imprenditore, ormai 50 anni fa.
Partiamo pertanto dal piattume ferrarese, attraversiamo l’altro piattume rodigino e padovano per infilarci nel più mosso e commerciale paesaggio veronese. Lambiamo Verona, lasciamo sulla sinistra l’inceneritore di Brescia (il cui camino inquina uguale, solo che è rettangolare e blu) e ci dirigiamo verso il Bergamasco, sentendomi un pesce fuor d’acqua nella toponomastica leghista de celodurismo lumbard di Pontida (via Milano, via della Lega Lombarda, via Alberto da Giussano) e attraversando paesini molto gradevoli dell’operosa Brianza. Per arrivare a Consonno ci mettiamo non poco, dato che la strada dal nucleo principale Olginate, sul Lago di Garlate è franata e bisogna arrivarci dall’altro lato (non si è capito come, ma ci siamo arrivati), tra viuzze e strade di montagna che si inerpicano tra il paesaggio spettacolare delle prealpi lecchesi e del lago di Garlate sullo sfondo. Imbocchiamo la ripida ascesa di Consonno, ma sarebbe più utile un 4x4; la strada è sbracata in più punti, è strettissima e le curve non sono da meno. Ci chiediamo come era venuta al conte Bagno la follia di portare gente fin quassù.
A poche centinaia di metri si inizia a scorgere il “minareto”, la torre del centro commerciale che tutti avrebbero ammirato e ricordato nel suo trash arabeggiante. C’è un sacco di gente qui a Consonno: curiosi, famiglie per la gita fuori porta, fotografi dallo sguardo e l’attrezzatura professionale con armamentario da reportage. E pazienza di Giobbe per piazzare il treppiedi, regolarlo a ogni scatto di foto, mettere a fuoco, capire la prospettiva giusta. Una foto, un quarto d’ora: roba che nel frattempo io avrei bevuto dieci chinotti. Sulla sinistra, tra la natura che ha riconquistato i suoi spazi, i resti del centro commerciale di tre piani. La struttura esterna è intatta ma ormai decrepita, le fondamenta sono gonfie d’acqua e i muri interni sono preda di graffitari e bimbiminkia che si divertono a spaccare bottiglie la domenica pomeriggio (d’altronde, chi di noi non è stato cazzone nell’adolescenza)? I vani dei negozi sono vuoti e non c’è più nulla di arredamento o prodotti dell’epoca. Lo stile, come detto, richiama il fascino del “poco usuale” come poteva essere negli anni ’60: un po’ di arabo, un po’ di ogive, un po’ di bifore. Al terzo piano del centro commerciale ci sono degli appartamenti disposti in serie, intorno ai 70 metri quadri. Ci sono ancora un po’ di mobili, le maioliche dei bagni e delle cucine, le finestre, quei bellissimi pavimenti degli anni ’60, che trovi ancora nelle case romane affittate ai fuori sede o nelle case dei nonni, quelli formati da pietruzze pressate che danno vita a una miriade di colori con un fondo dominante (nel senso, questo pavimento descritto con fin troppe parole ha un nome, ma non so quale). In alcuni casi, mi fanno notare i colleghi ferraresi che, non si sa per quale motivo, sono esperti di cardini di finestre e di tipologie di presa elettrica (io, per dire, manco so usare il t9 sul cellulare), le finestre sono state ammodernate o sostituite, inseriti i doppi vetri e comunque alcune case hanno subito ristrutturazioni tipiche degli anni ’90. Sugli appartamenti, une enorme terrazza ricoperta di guaina, sulla quale si erge il minareto. Alcuni visitatori riescono a salire le scalette di ferro attaccate al muro e ad arrivare fino in cima. Arrivato a metà scala, mi sono fatto pigliare dalla fresella e dalla febbre mista ad insolazione, e mogio mogio mi son ritirato dalla competizione.
Poco più avanti, sulla destra, una struttura non ancora terminata a forma vagamente ottagonale, almeno così sembra tra i rovi che nel frattempo hanno mangiato anche tutti i macchinari per la lavorazione del cemento, ormai arrugginiti. Di fronte, una delle poche strutture salvatesi della vecchia Consonno; restano praticamente le mura esterne, all’interno ci sono macchinari da lavoro, probabilmente seghe, pialle, mobili sbracati, un immondezzaio che probabilmente in precedenza era una segheria (?). All’esterno la carcassa di un camioncino Tigrotto, quelli OM con la guida a destra. C’è tutta la carcassa, gli pneumatici ormai duri come pietre, il motore visibile tra i sedili dei passeggeri. Lo stesso camioncino lo ritroveremo, più avanti, a ora del caffè nelle foto in bianco e nero della vecchia Consonno, nel bar della frazione (ne parleremo a brevissimo).
Poco più avanti, una struttura in due piani di quello che è stato prima un hotel e poi una casa di riposo per anziani. La struttura fondamentalmente è ancora in buono stato, almeno per quanto riguarda le mura esterne. L’interno è distrutto quasi fosse passato un ciclone. La particolarità è stata quella di vedere per la prima volta, quali "inviati" di Spazi@rendere>, luoghi in abbandono con arredamento anni ’70, sicuramente di buona qualità per l’epoca. Armadi e scrivanie, letti ospedalieri, bagni, finestre, balconi. Se al primo piano ci sono le stanze, al piano di sotto troviamo invece cucine, refettori e sala da pranzo di quello che era un ristorante. Tutto sbracato anche qui, soprattutto perché sembra che un paio di anni fa si sia tenuto un rave che ha portato alla distruzione definitiva tutti gli interni. Mentre cerco di riscaldarmi per calmare il freddo dell’influenza, e mi schiatto faccia al sole di fronte la struttura attendendo la fine della visita dei ferraresi, un signore anziano, tuta vintage Errea in acetato rossa e blu con tanto di lanugine da consunzione, inizia a parlarmi. Mi chiede com’è dentro la struttura, io gli dico che è tutta distrutta, e lui: “Mi fa male vederla così. Io ho guidato la corriera nei dintorni per trenta anni, ho portato qui i turisti quattro cinque volte nel picco dell’esistenza di Consonno. Non avete idea della gente, del divertimento e delle passeggiate dei clienti. Il ristorante era sempre pieno, una cosa bellissima. Oggi ecco quello che rimane”. Un cenno di ringraziamento e va via quasi con le lacrime agli occhi. Testimonianza gratuita, manco l’avessimo cercata. Le foto del più volte menzionato sito su Consonno mostrano cosa doveva essere questo posto all’inizio della sua assurda vita, quanto questa follia avesse trovato realizzazione nella novità dell’evasione dalla vita quotidiana: cazzeggio, come piace a noi.
Nel bar di Consonno, ’60-style (ora tipico bar desolante italiano, tipo quello di Roscigno, insomma), ci sono un bel po’ di anziani intorno a due-tre tavolini che bevono vino. Alle pareti ci sono una decina di foto bianco e nero della vecchia Consonno, la ventina di abitazioni intorno alla Chiesa di san Maurizio, i primi lavori di sbancamento, il camioncino prima descritto nella stessa identica posizione (sembrerebbe un set cinematografico, probabilmente è messo lì apposta). Della vecchia Consonno, appunto, resta la chiesa di San Maurizio ristrutturata, ma chiusa a quell’ora.
Si passeggia post-panino prendendo la strada opposta verso Olginate; dopo 200 metri c’è il cartello di ingresso, arrugginito, che prendete tutta la larghezza della strada, che recita: “A Consonno tutto è meraviglioso”. Dovevano pensarlo davvero, gli avventori, e doveva essere davvero meraviglioso, questo posto, altrimenti non si spiega quale altro motivo abbia potuto condurre schiere e schiere di persone in cerca di divertimento in mezzo al bosco. Nella meraviglia del degrado del passato un ciclista, ansimante, affronta gli ultimi metri della salita acclive.
Grazie ai ferraresi Marco Raimondi, Eleonora Marighella e Stefano Gibelli per la compagnia. E grazie a Erika Boccafogli per la compagnia e le foto qui sotto. Qui i suoi credits:
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Foto di: Erika Boccafogli