Allora, un po’ di tempo fa siamo stati a Conza della Campania. Visto che chi scrive sta in fissa coi terremoti, per chi non conosca questo paese la prima cosa da dire è che è stato quasi interamente distrutto dal sisma del 1980. Per spiegare la Conza di oggi non si può dunque non partire dalla sua ricostruzione. Pertanto, riprendiamo parte di un contributo di Stefano Ventura, irpino di Teora, storico dei disastri e grande esperto della ricostruzione in Irpinia, per capire in breve cosa è stata la ricostruzione nel piccolo comune irpino.
Ventura (2010), scrive che Conza è stato tra i paesi con il più alto indice di distruzione e più morti (184 morti su 1957 abitanti), con quasi il 100% di evacuati (Alexander, 1984). Fu l’unico centro insieme a Romagnano al Monte (un altro nostro Spazio@rendere) ad essere interamente delocalizzato. Il paese, che inizialmente sorgeva su una collina che sovrastava la valle dell’Ofanto (dove ora si trova il Parco Archeologico di Compsa di cui si parlerà successivamente), fu ricostruito in un’area a valle sulla quale, secondo il piano regolatore dell’architetto napoletano Corrado Beguinot, il nuovo nucleo urbano di Conza doveva rispondere ai più moderni criteri di sicurezza sismica. Gli assi viari principali furono pertanto organizzati sulla base di preesistenti collegamenti interpoderali e all’incrocio di essi era prevista una zona baricentrica in cui sarebbero stati ospitati negozi, il mercato e officine artigianali. In prossimità di queste strutture sarebbero poi sorte la scuola elementare e il giardino pubblico, il municipio, gli uffici postali e di credito, un cinema e, in posizione preminente, la cattedrale e la curia (il cupolone che vedete nelle foto). Sarebbero sorti quattro settori residenziali anch’essi serviti da una fitta rete viaria e da percorsi pedonali.
La pianificazione comunale prevedeva poi altri interventi. Il primo di essi era rappresentato dal Parco archeologico che doveva sorgere sulle rovine del vecchio centro storico, inaugurato nel luglio 2004. Il secondo intervento programmato avrebbe avuto seguito alla sistemazione della diga, con la realizzazione di un’oasi del Wwf e la possibilità di praticare sport acquatici e turismo escursionistico.
La realizzazione e i risultati di questo progetto furono però controversi, tanto che in relazione alla costruzione della nuova Conza fu pubblicato su un periodico culturale a diffusione provinciale in occasione del decimo anniversario del terremoto: l’indice era puntato contro “la progettazione curata in prima stesura dal professor Beguinot come se fosse destinata non a una comunità di paese dall’economia e dalle abitudini prevalentemente agricole, ma a un quartiere dormitorio suburbano. […] Chi si avventura nel nuovo centro, ancora lontano dall’essere completato, in quegli spazi piatti e uniformi, inevitabilmente avverte una sensazione di smarrimento e solitudine, perché stenta a riconoscersi e ritrovarsi” (Ventura, 2010).
Dobbiamo dire che, complice il sonno, gli sbadigli e l’aglianico della sera prima, pure noi stentavamo a capire perché quel cupolone fosse così sproporzionato rispetto all’intorno, perché sembravamo essere smarriti in un luogo a tratti asettico, non conforme al vallonato paesaggio collinare di quelle zone. Queste però sono nostre opinioni che lasciano il tempo che trovano e che sono vuote di senso se non contestualizzate nelle pratiche quotidiane dei territori e nelle relazioni tra chi quei territori li abita, li vive e li plasma in base alle proprie esigenze.
Conza sembra comunque essere uno dei luoghi paradigmatici della ricostruzione irpina, quella definita della “decostruzione dell’identità”, come definita dall’architetto Biagio Costato (2005), che proprio su Conza scrive: “Il tributo che gli abitanti di Conza hanno dovuto pagare, in nome della sicurezza, è stato quello dello sradicamento e della perdita di quelle relazioni che legano indissolubilmente l’uomo al sito in cui vive. I punti di riferimento, intorno ai quali l’intera comunità aveva costruito la sua identità, sono andati persi insieme alla sua storia e alle sue tradizioni. La piazza, la chiesa con il campanile e le stradine tortuose, che costituivano il cuore del paese, hanno ceduto il posto prima all’anonimato degli insediamenti provvisori, poi al raggelante squallore del nuovo insediamento. L’identità di quel luogo è irrimediabilmente perduta, sepolta tra le macerie e poi rimossa insieme a esse. In molti comuni dell’Irpinia, così come a Conza, aleggia ancora una sensazione di provvisorietà, sembra che si aspetti un nuovo evento, una svolta che riporti tutto alla “normalità” svanita la sera del 23 novembre 1980” (p. 203).
Vista così brevemente la nuova Conza, dopo l'immancabile caffè del municipio/bar di fronte alla chiesa, in una domenica mattina con un tiepido sole autunnale, ci interessava visitare il vecchio nucleo, la vecchia Compsa, quella sulla collina, che ora è un piccolo ma affascinante parco archeologico dove le stratificazioni delle tante storie e dominazioni di Conza si sovrappongono alle rovine del paese fermo al 23 novembre 1980. A questo link trovate varie foto del parco, mentre nelle nostre foto potete trovare una miscellanea della vecchia e della nuova Conza con alcuni dettagli sui paesaggi.
E’ innegabile il fascino del parco. Del resto, la colonna romana di fianco ai transistor ossidati della cabina elettrica, le porte arrugginite del vecchio campo di calcio, le ossa di chissà quale secolo ormai cementate al terreno che regge i ruderi della vecchia chiesa, sono piccole emozioni poco usuali per questi lembi ventosi dell’entroterra.
Il parco archeologico di Compsa è di sicuro interesse per archeologi e storici, e tutto ciò che gira intorno al parco e alla nuova Conza meriterebbe indagini più approfondite per capire cosa è stata e cosa sarà la ricostruzione per gli abitanti, per il paese stesso e per i paesaggi dell’Alta Irpinia. Anche questo è un territorio a margine, lontano dalle grandi arterie, dimenticato dalla cronica mancanza di fondi e forse anche dall’Irpinia, che ha un piccolo tesoro in casa propria ma non sa che farsene. Un tesoro di cultura e di storia, molto più vicina dei 33 anni trascorsi dal terremoto, per il quale paghiamo dazio ancora oggi, ripetendovelo fino allo sfinimento.
Il parco merita di essere conosciuto; ci proviamo con quel poco che possiamo fare, grazie alle parole del presidente della Pro Loco “Compsa”, Dr.ssa Antonia Petrozzino.
Puoi illustrarci in poche righe come nasce il parco e quali sono le sue relazioni con la tragedia del sisma del 1980?
Nel 1978 la Soprintendenza Archeologica di Salerno, Avellino e Benevento iniziò delle ricerche con delle campagne di scavo nei comuni irpini, allo scopo di redigerne una Carta Archeologica. I lavori ebbero avvio dal comune di Conza per la contemporanea costruzione della diga sul fiume Ofanto: prima che alcune aree a valle fossero sommerse dall’invaso, fu infatti necessario procedere con la ricognizione archeologica. Inoltre, l’Amministrazione Comunale aveva già comunicato alla Soprintendenza la scoperta, durante interventi di riassetto viario, di reperti funerari della Fossakultur di Oliveto-Cairano e, pertanto, nella seconda metà degli anni ’70, fu elaborata una documentazione relativa all’area urbana e al territorio comunale di Conza e alla necropoli di Fonnone. Le schede di tale documentazione, con i relativi materiali, sono purtroppo andate disperse in seguito al sisma. L’importanza archeologica di Conza era comunque già stata ipotizzata negli anni ’20 dal prof. Italo Sgobbo in base ai rinvenimenti in alcune cantine civiche, poste nel sottosuolo del paese. In seguito all’intensa campagna di scavo effettuata, a partire dal 1981, dal prof. Werner Johannowsky è stata confermata l’esistenza di presenze archeologici di rilevante valore da sottoporre a tutela. Nel frattempo l’Amministrazione Comunale, considerato che l’antico centro abitato fu raso interamente al suolo dal terremoto, effettuò delle perizie geotecniche che stabilirono l’inopportunità della ricostruzione in loco e che c’erano le condizioni per l’istituzione di un Parco Archeologico. Nel 1988 tutto il centro storico è stato sottoposto a vincolo archeologico e nel 2003 è stato, finalmente, inaugurato il Parco Storico e Archeologico di Compsa.
Perché il parco è importante per il panorama culturale, archeologico e conservativo italiano?
L’importanza del sito archeologico dell’antica Compsa deriva dalla stessa definizione di Parco Archeologico, ovvero “struttura atta a valorizzare un’area limitata con presenze archeologiche di rilevante valore, creata ed organizzata sia per la conservazione dei beni contenuti sia per la tutela del sito e del territorio con le sue principali caratteristiche storico-architettoniche-ambientali”. Al di là di presenze antropiche risalenti al Neolitico, le prime testimonianze di gruppi umani organizzati si riferiscono all’età del ferro: nove tombe ad inumazione a fossa in località San Cataldo (ai piedi della collina), attinenti alla cultura protostorica di Oliveto-Cairano. In età preromana, per la sua posizione strategica, Conza fu insediamento dei Sanniti, prima con gli Osci e poi con gli Irpini. Di questo periodo esistono poche testimonianze archeologiche se non suppellettili e monili ritrovati nelle area extra-urbana ed ora conservati nel museo del parco, e dei resti di pavimentazione in ciottolo del foro. Compsa, citata nell’Ab Urbe condita di Tito Livio, in epoca romana assumeva un ruolo strategico grazie alla sua posizione naturale: divenne pertanto municipium in epoca romana, ottenendo autonomia amministrativa. L’aspetto del centro in questa fase è quello tipico di una città romana, contraddistinto da impianto ortogonale con relativi cardi e decumani, da un foro lastricato in lithòstroton, delimitato da edifici pubblici e popolato di statue onorarie, da un anfiteatro (posto curiosamente nella parte alta della città e non all’esterno) e dalle terme. In prossimità di quest’ultime è stata rinvenuto anche un sarcofago lapideo risalente al IV sec. d.C. L’importanza di Conza continuò anche dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente: fu per un breve periodo fortezza gotica e poi bizantina, fino alla conquista da parte dei Longobardi nel 568. L’aspetto dell’abitato dunque cambia: sugli edifici del foro viene costruita la chiesa cristiana; il foro cade in rovina e la sua funzione viene presa dalla fortezza (costruita nella parte alta della collina), che diventa il nuovo centro politico decisionale. Nei secoli, a seguito dei continui terremoti, l’importanza geo-politica di Conza della Campania è andata sempre più scemando, tant’è che gli stessi arcivescovi, pur assegnandole il ruolo di metropoli della vasta circoscrizione ecclesiastica, preferiscono dimorare a Santomenna e Sant’Andrea di Conza. La presenza del castello, insieme alla maggiore difendibilità del sito, è il motivo principale per cui, nonostante i vari terremoti (ricordiamo quello del 990 perché comportò, in seguito, l’intervento del Papa Callisto II), il paese viene ricostruito sulle stesse aree, riutilizzando parte del materiale da costruzione degli edifici crollati. Anche dopo l’ultimo terremoto è ancora riconoscibile la ricca stratificazione storico-architettonica: questa è la peculiarità principale del Parco Archeologico di Conza che lo rende una vera e propria perla nel panorama delle testimonianze storiche. L’impianto urbanistico riscontrabile in seguito a queste dominazioni è quello tipico del borgo medievale, arroccato intorno alla Cattedrale e al Castello, dalla quale si dipartono le mura che proteggono il borgo e ai cui piedi si stende lo stesso centro abitato. Anche dai vari materiali utilizzati per le costruzioni è possibile fare una ricostruzione temporale delle varie stratificazioni: di questo periodo è frequente l’utilizzo di pietra, mattoni, legni, sassi e ciottoli di fiume tenuti insieme da una particolare malta molto resistente all’umidità. Questo impianto urbano, anche se successivamente interessato da varie ricostruzioni, con contaminazioni stilistiche, in seguito ai terremoti disastrosi succedutisi nel corso dei secoli (1361, 1688, 1694, 1852, 1910, 1980), corrisponde comunque all’attuale centro storico di Conza della Campania. Dopo i Normanni Conza passò sotto la dominazione Sveva, a cui seguirono Angioini, Aragonesi, Spagnoli e Borboni. Il 1860 ha piegato Conza sotto la forza degli eventi nazionali e le portò la piaga del brigantaggio. Negli anni 1950 e 1960 il paese conobbe la grande emigrazione, che ridusse di due terzi la popolazione locale. Con il sisma del 1980 l’85% del patrimonio edilizio venne distrutto e un altro 5% gravemente danneggiato: alcune strutture furono ulteriormente distrutte per permettere il passaggio dei mezzi meccanici nel dopo terremoto. Il tessuto edilizio ed urbano di Conza, quasi interamente distrutto, si presenta oggi estremamente fragile. In quasi tutti gli edifici del centro storico sono visibili i segni delle ripetute operazioni di modifica, ricostruzione, accorpamenti e frazionamenti. Attualmente di questo tessuto urbano, con la sua singolare stratificazione storica, restano solo significative tracce nei pochi edifici non crollati, nei resti delle strutture murarie e nei tracciati stradali. È oltremodo significativa, a detta della stessa Soprintendenza, l’immagine che il Parco restituisce: “una città antica che sembra essere conservata come un calco al di sotto del tessuto urbano formatosi lentamente nelle epoche seguenti”. Posso anche dire che l’importanza storico-archeologica del Parco è testimoniata, ad esempio, dal fatto che, in seguito ai lavori di consolidamento della Cattedrale, precedenti al sisma, è stata ritrovata nella cripta un’urna marmorea di epoca imperiale, mentre, grazie agli scavi, è venuta alla luce, presso le fondamenta del campanile, la riproduzione della porta urbica: si tratta di uno dei pochi modelli esistenti in tutto il mondo romano. Ugualmente rara è la meridiana emisferica, conservata nel Museo: proviene dai resti di una villa rustica risalente all’Età Repubblicana. Un analogo esempio, ma di età imperiale, si trova presso il Museo Nazionale Romano. A Conza si sono interessati vari studiosi, sia per motivi archeologici che antropologici, sociologici e geologici. Quest’anno, per esempio, possiamo vantare la visita dei ragazzi del Felland Group che hanno elaborato il “Project Village”. Il “Project Village” è un ambizioso metodo per la valorizzazione dei piccoli centri, in modo da promuovere il patrimonio artistico e culturale di piccole comunità attraverso la testimonianza di giovani viaggiatori internazionali e l’uso delle moderne tecnologie. Lo scopo è trasformare il paese preso in esame in un Village, inteso come uno spazio d’incontro internazionale, attraverso l’osservazione, la partecipazione e il vivere. Una volta individuato il paese da internazionalizzare, il “Project Village” comporta la realizzazione di una guida del territorio: una raccolta di informazioni sulle attrattive, sulla storia e sulla cultura del paese. Contemporaneamente viene bandito un concorso foto-giornalistico sul paese, destinato a studenti stranieri: giovani provenienti da tutto il mondo sono invitati a redigere un reportage in cui esprimono il loro punto di vista e la loro percezione attraverso immagini e testi da loro redatti sia in italiano che nella loro lingua madre. Il risultato è la Guida Multiculturale Village, in cui le informazioni sul territorio si intersecano con le percezioni e i reportage dei giovani esploratori internazionali (la trovate a questo sito).
Qual è lo stato attuale della conoscenza archeologica sull’area? Quanto è stato fatto? Quanto c’è da fare?
Per quel che concerne gli scavi ulteriori potrebbero interessare l’area dell’anfiteatro e della sommità della collina, nonché la zona dell’impianto termale. C’è da dire che la fragilità delle strutture e la friabilità del terreno rendono alquanto pericoloso un intervento. Piuttosto, invece, è il caso di tutelare meglio quanto già emerso in questi stessi siti. Poiché sono difficilmente raggiungibili dai mezzi comuni, è difficile tenere puliti questi reperti e il risultato è che, ad oggi, l’anfiteatro, ad esempio, non è più visitabile per colpa del terreno sovravanzato. Esistono numerose ipotesi sia per quanto riguarda la strutturazione completa del foro, l’abbandono di parte di esso e l’esistenza di un tempio con podio, sia per quanto riguarda l’origine della Cattedrale. Ancora oggetto di studio sono la certezza dell’origine del nome “Conza” e la completa decifrazione di alcune iscrizioni.
Come si relazionano le istituzioni irpine al parco e alla sua gestione?
Le istituzioni irpine: non rilevate! Esistono dei progetti fermi alla Regione e presentati dal Comune in seguito all’emanazione di bandi, ma da Napoli non ci fanno sapere nulla su che fine abbiano fatto questi progetti. L’ultima chicca è il bando sulla misura 1.9 del P.O.R.: in base a questo bando le attrattive turistiche irpine si fermano a S. Francesco a Folloni! Io sono molto arrabbiata per il fatto che il Parco Storico e Archeologico di Compsa non sia stato considerato un Polo Attrattore. Comunque, da parte nostra facciamo tutto quello che possiamo, rispondendo almeno ai bandi che consentono la promozione del territorio. Ovviamente non basta: questa struttura ha bisogno di una gran manutenzione, richiedenti spese che il Comune non si può accollare. Per quanto riguarda l’E.P.T. (Ente Provinciale del Turismo), ogni tanto fa qualche monitoraggio territoriale, ma nulla di più. E chi è scomparso completamente dall’orizzonte è la Soprintendenza, ma immagino che qui si tratti di un problema a monte.
Qual è il rapporto che si è instaurato in questi 33 anni tra la popolazione locale e il parco archeologico? Esiste una memoria collegabile ad una restituzione dell’identità di Conza?
Il discorso sulla memoria è alquanto complicato. Il Parco cerca di preservare la memoria storica: alcune case sventrate dal sisma dell’80 sono lì visibili, con il vissuto che rappresentano. Si vedono ancora le maioliche dei bagni e le suppellettili. È stata una scelta voluta: la vita di quel centro abitato si è fermata alle 19.34 del 23 novembre 1980. Nel museo al piano terra c’è una collezione di foto del paese pre e post terremoto e ai turisti viene mostrato un video in cui si commemora la vita della vecchia Conza. Al piano superiore c’è invece un plastico del vecchio paese. Insomma la memoria storica è sempre stata tutelata. Ma un conto sono le scelte degli Enti istituzionali, un conto i sentimenti individuali e collettivi dei cittadini. Sono passati 33 anni da quella data: la maggior parte delle persone è orgogliosa di questo Parco archeologico, ma c’è chi non è riuscito mai a visitarlo. È comprensibile, visto che c’è gente che in 90 secondi ha perso tutto! Fa male a me che non ero neanche nata all’epoca, figuriamoci a chi ha visto con i suoi occhi implodere un paese, uscendo vivo dalle macerie per chissà quale miracolo ma non avendo più i propri cari! Per questo è ancora presto parlare di sviluppare una sorta di turismo della memoria, anche se, secondo me, in futuro se ne potrebbe parlare. Per quel che riguarda i giovani, è ovvio che per loro il discorso è diverso: chi oggi è adolescente non ha neanche vissuto la fase dell’insediamento provvisorio né quella della Conza “nuova” creata un pezzo alla volta. Per loro è tutto più semplice. Certo, a dire il vero, potrebbero essere preparati meglio sulla storia di Conza, vista la sua importanza, ma è uno dei progetti da poter portare avanti come Pro Loco.
Quali sono le necessità del parco per una migliore manutenzione e per una distribuzione capillare delle informazioni relative alle sue attività?
Occorrono tanti finanziamenti, visto che il Parco ha bisogno di una continua manutenzione: se crolla Pompei, è ovvio che anche i nostri reperti corrono lo stesso rischio. Il terreno, in alcuni punti, è particolarmente friabile: ovviamente sono punti che non facciamo visitare, ma di sicuro non è una condizione ottimale per la conservazione delle strutture. Inoltre le passerelle hanno bisogno di una periodica messa in sicurezza. È ovvio che è necessario un interesse politico, ma questo può nascere solo con un cambio di mentalità: non è vero, come affermò l’ex Ministro Tremonti, che con la cultura non si mangia. Se il Parco fosse in condizioni ottimali, sarebbe anche più facile valorizzarlo e incrementarne, perciò, l’appeal territoriale per i turisti. E, soprattutto, un bene demaniale è un bene di tutti: non ha colore politico. Non si possono elargire finanziamenti in base ai riferimenti politici locali. Detto questo, per quel che riguarda la visibilità, sia come Comune che come Pro Loco, abbiamo già attivato dei progetti e, personalmente, sto facendo un monitoraggio dei siti internet dove non è ancora segnalato il Parco. Certo tutto sarebbe più facile se ci fosse un’offerta turistica integrata con i paesi dell’hinterland.
Quali sono i progetti futuri del parco? Sono previste campagne di scavo o trasferimento di materiale?
Le campagne di scavo sono ferme e non credo riprenderanno a breve. Spero, invece, che la Soprintendenza ci restituisca al più presto i reperti che, all’epoca, si trattenne per una migliore conservazione. In passato ci è stato più volte assicurato che tale operazione sarebbe avvenuta in tempi celeri!
Puoi darci dei riferimenti per coloro che volessero visitare il Parco o essere aggiornati su Conza?
Consiglio innanzitutto di consultare i siti del Comune e della Pro Loco: www.comune.conzadellacampania.av.it e www.prolococompsa.it. Nella sezione contatti del nostro sito trovate anche i numeri personali di telefono per contattarci, mentre quello della sede è 0827.39519. Il numero dell’associazione che gestisce il Parco – l’Associazione Turistica “Ancora Compsa” – è, invece, 348.9983479. Per quel che riguarda la mail, potete scrivere a: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. e alla mia mail personale Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. .
Giusto per:
Alexander D., 1984, Housing Crisis after Natural Disaster: the Aftermath of the November 1980 Southern Italian Earthquake, Geoforum, 15(4), pp. 489-516.
Costato B., Ricostruzione come decostruzione dell’identità: l’Irpinia, in Mazzoleni D. Sepe M., (a cura di), 2005, Rischio sismico, paesaggio, architettura: l’Irpinia, contributi per un progetto, Centro Regionale di Competenza Analisi e Monitoraggio del Rischio Ambientale, Napoli (scaricabile qui)
Ventura S., 2010, I ragazzi dell’Ufficio di Piano. La ricostruzione urbanistica in Irpinia, I Frutti di Demetra, 22, pp. 37-52 (scaricabile qui)