Con l’autunno ormai in arrivo riprendono le gite fuori porta dei disadattati. Abbiamo appena cambiato volano e frizione alla bagnarola (ma come, una volta il nostro Ghostrider non se la voleva cambiare, ‘sta macchina da commendatore?), per cui che fai, non la testi con un po’ di gimcane su qualche rettilineo o col gioco freno acceleratore per farti venire il mal di stomaco?. Il suddetto Ghostrider, il giusto mezzo tra un cazzaro, un viaggiatore esperto e un pilota brevettato, dopo qualche gimcana, già proclama solennemente: “come nuova”. Mal di stomaco praticamente evitato, dunque. Pertanto si riparte, di nuovo verso il Sannio, destinazione Paduli. La strada è quella fatta decine di volte, lungo i crinali tra l’Irpinia e il Sannio, dove il verde dei noccioleti e il biondo del rarignolo si equivalgono. Giunti a Paduli, il paesaggio è lo stesso incontrato più volte: un’altura, strada in ripida ascesa, poche case in croce. Da un viale è possibile scorgere le piane del Calore e dell'Ufita condivise tra Sannio e Irpinia, unendole idealmente più di quanto una mera suddivisione amministrativa voglia far credere siano divise.
Fissa e rituale la tappa al bar per la colazione mattutina: l'accento del gestore, il tavolino solitario, i ripiani San Carlo per le patatine e la teca per i cornetti sono il primo biglietto da visita del sacro sud. Da queste puoi carpire la tipologia di gestione del titolare, il target di avventori, l’evoluzione del locale. Quando vedi gli avventori ti si apre un mondo, che certamente i Bar Sport di Stefano Benni (e, ammettiamo velatamente, anche Ligabue con Bar Mario) hanno descritto meglio di noi. Il bar, qui, però, è anche pizzeria e sala tv. Un bar di presenza, con all’ingresso centinaia di cappellini provenienti da tutto il mondo. C’è la sala interna, luccicante di magliette da rugby firmate e incorniciate. In tv il classico Nuova Zelanda- Sud Africa, match decisivo per il Rugby Championship. I proprietari giocano nel Benevento rugby, che proprio qualche mese fa ha fallito la promozione in Serie A con il Valsugana (uno dei tre disadattati, in quel di Padova, era andato a vederla). Il bar è sempre cartina di tornasole di questi luoghi, ancora più se segnati da una palla ovale; in questo pezzo di sacro sud il rugby è quasi religione, piccolo paradiso in un mondo altrimenti pallonaro, o al massimo cestistico. Cornetto senza infamia e senza lode, scambiamo qualche battuta e ruttiamo dopo un chinotto per ricordare l’assenza del disadattato che ne ha svelato la sua essenza di bevanda da cazzeggio.
Inizia la visita al vecchio paese, che è a ridosso del centro attuale. Come per Senerchia, pertanto, non c’è reale distanza tra i due nuclei. La malinconia pervade l’area -in una sequela quasi drammaturgica quando si entra nelle case, anche queste abbandonate con il terremoto del 1962- completamente abbandonata dopo il sisma del 1980. Ci raccontano che dopo il sisma del 1962 il centro nuovo era già in corso di costruzione; l’esodo pertanto fu meno drammatico ma certamente anche qui i due eventi hanno rappresentato un punto di rottura quasi definitivo con il passato. In una piazzetta sentiamo un piacevole rumore di stoviglie, acqua corrente, profumo di vita. Una donna anziana pulisce un atrio con l’acqua raccolta nella fontana della piazzetta. La sua piccola casa è di un bianco splendente, con delle piante pazientemente curate all’ingresso. I suoi occhiali sono davvero spessi (a culo di bottiglia), il suo sguardo aggrottato e rugoso è fiero e sicuro, e al contempo rassicurante. Racconta che lei non ha abbandonato quel luogo, e che se anche altre persone avessero fatto lo stesso, oggi quella parte di terra sarebbe stato ancora viva. Sottolinea che a sue spese ha sistemato la sua casa, e che altri avrebbero potuto fare lo stesso, ma hanno preferito prendere soldi e andare via.
Non si giudicano le scelte di chi resta e di chi parte, ognuna è giusta a suo modo. Ciò che più che altro ci preme sottolineare è che il vuoto fisico dello spazio è un vuoto collettivo di memoria, che solo in pochi in realtà conservano, come la testarda signora che resta al suo posto nonostante il corso degli eventi. Ci sono effettivamente alcune aree del vecchio centro che sono in un buono stato ma che il tempo e la natura hanno inevitabilmente reso luoghi di “desolazione”. Stanze con letti sfatti, credenze con passate di pomodori, damigiane di vino, scarpe e fogli, cassettiere aperte con ancora i vestiti riposti. È il terremoto che porta via con sè la storia di questa terra, delle schiene riposate dopo il lavoro dei campi, delle domeniche di agosto a passare i pomodori dell’orto, del primo vino gustato dalla botte, delle scarpe ripulite dalla polvere e dell'abito della domenica che profuma di lavanda. E’ un attimo che porta i segni nelle pareti sconnesse, nelle scale traballanti, nei soffitti pericolanti, nelle travi spezzate e imbibite di acqua e muffe. Da ogni finestrella di queste case la vista è comunque splendida, una collina ancora verde con stradine sinuose e dal ritmo cadenzato.
Come spesso accade in questi luoghi, al dramma del terremoto e dell’abbandono, segue quello della ricostruzione e così, nel camminare fresco e rilassante tra le stradine vediamo una struttura recente in cemento, la cui forma sembra non avere criterio o alcun nesso con quella sofferenza e quella stratificazione storica. Difficile da capire cosa dovesse essere, forse una villa privata, un mercato o un belvedere o qualunque altra cosa, ma certamente un luogo che non emana calore, frigido, privo di armonia per la vista e per lo spirito. Ci raccontano che lì un tempo c’era la “suttetta”, luogo storico e vivo del paese dove si svolgeva il mercato ed era il punto di incontro nel paese. Toccanti la parole di Felice Truglia dal sito http://www.paduli.com/photo.htm: La "Suttetta" e l'intera Piazza Mercato (Chiazza), cuore del "paese vecchio" alla quale si giungeva dai vari vicoli attraverso la strada principale (Via S.Pietro), era assai affollata soprattutto nei giorni di mercato ed in occasione delle fiere. I forestieri e quelli che abitavano lontano dal centro abitato, per vendere le loro merci, partivano la sera precedente, a piedi o con qualche somaro, che poi lasciavano in custodia nei pressi di Porta Columbro. Questo luogo offriva ai vari convenuti la possibilità di discutere e affrontare problemi di ordine sociale, politico ed economico legati alla vita quotidiana del paese; era anche l'occasione per poter ammirare qualche bella fanciulla. Durante la settimana invece erano i più giovani a riempire questi luoghi per ritrovarsi in allegria e spensieratezza. Oggi la vecchia "Suttetta" è stata abbattuta, al suo posto sorge un colosso di cemento armato, da anni incompleto, e dal gusto al quanto discutibile, sul quale di tanto in tanto (in vista di elezioni amministrative) vengono effettuati dei lavori di completamento. Invece di recuperare alcuni pezzi di storia, così come hanno fatto molti comuni a noi limitrofi, impiantando su questi una vera e propria economia del turismo, abbiamo preferito raderli al suolo. Nel suo libro, "Paduli sul Calore", Reno Bromuro scrive: "E' stato raso al suolo tutto da una ruspa pirata, inviata non si sa da chi, la quale ha mandato in pezzi nella polvere duemila anni di storia…" .
Per capire questo pezzo di sud, basta un auto e un bar. E, purtroppo, un terremoto una tantum.
P.S.: come faremmo senza la macchina del Ghostrider....
Foto di Sandro Montefusco