image1 image2 image3

La storia di Monte Vergine è quella di un luogo la cui memoria è ricca di storie vere e inventate, tradizioni, storiche devozioni. È il luogo del Sacro e del Profano, in cui nel valzer della storia si tessono trame per cose e persone apparentemente lontani per scopi e ideologia. Su questa montagna si incontrano infatti il Ventennio fascista, la Sacra Sindone, una base militare NATO, un monastero medievale ed una delle icone più famose della rappresentazione della Madonna Nera. Tra queste c’è anche una rete di tunnel sotterranei, una rete all’inizio a noi poco chiara, con pochissime fonti cui far affidamento, la cui origine e finalità è ancora abbastanza all’oscuro. Ogni volta che ci si imbatte in qualcosa di poco chiaro è compito arduo decidere quale voce ascoltare; nel dubbio, pertanto, le abbiamo ascoltate tutte. Ci siamo imbattuti in ex militari, colonnelli in pensione, vecchi brigadieri, pastori, venditori di castagne, storici, abitanti, monaci, bibliotecari, terminando ogni volta le nostre discussioni più confusi di prima. Le uniche fonti certe, per quanto comunque vaghe, restano quelle di Fausto Altavilla (2006, p. 66) e quelle di Don Giovanni Mongelli (storico Archivista del Monastero di Monte Vergine, n.1915 - m.1995). Don Giovanni scrive: “Su questo aspetto della montagna in cui sorge il santuario tutto si è andato trasformando a cominciare dal 1933, in cui, al Campo Maggiore sorse il primo rifugio “Principe di Piemonte” inaugurato il 26 febbraio del 1933, costruito in fabbrica, ma essendo all’estremità del piano del campo, era in posizione poco adatta per gli sciatori. Seguirono altri rifugi o tutti in legno o in legno su fondamento in cemento. Ad essi tenne dietro negli anni seguenti lo chalet per le guardie forestali e palazzine per i militari; ancora le grandiose opere con vastissimo traforo di collina per le truppe della NATO; infine l’istallazione dell’antenna ripetitrice della televisione e altre opere di vario carattere (Mongelli, 1965-1978). 

E così, un sabato, di buon mattino, muniti di torce e mascherine decidiamo di inoltrarci nel tunnel il cui ingresso è ben visibile sulla strada principale che porta alla vetta della montagna. 
Superato il cancello della vecchia zona militare, sulla destra si scorgono delle vecchie costruzioni dove presumibilmente c’erano cucine, camerate, luoghi di ristoro e depositi di materiale elettrico. Proseguendo verso sinistra la strada continua a salire fino ad uno slargo. Qui, chiuso da una porta in ferro, si intravede il primo tunnel. Rimettiamo la volontà a Mamma Schiavona e iniziamo il nostro viaggio. Dopo poche decine di metri il Tunnel gira ad angolo retto, per poi virare ancora e ritornare nelle direzione originale. Prosegue per una ventina di metri in leggera salita. Su entrambi i lati si aprono ambienti molto grandi con il soffitto arcuato. Sono stanze strane. Il fascino di questo posto ha dell’incredibile. Ci sono all’interno vecchissime batterie, strutture in ferro, doppio fondo con lamiere. In bocca è forte il sapore acre del particolato di piombo e ferro. Le stanze sono ricoperte da una fitta rete di canaline in ferro rosso, probabilmente sistemi di areazione o distribuzione di acqua. Superate queste stanze il tunnel ha dei corridoi laterali a 45 gradi, probabilmente per proteggere gli ambienti da possibili esplosioni. Tutti i corridoi conducono ad altre stanze nella loro zona terminale. In particolare, al termine di uno di questi corridoi laterali, troviamo una scala a muro e di fronte una grandissima cisterna con corridoio laterale. Ogni volta che incontriamo deviazioni non sappiamo quanto lunga sia la strada e così procediamo lentamente senza perdere mai di vista il corridoio centrale. Si prosegue e troviamo ancora queste rientranze a 45 gradi che conducono a grandi stanze interne. Siamo nel tunnel da circa 30 minuti. Decidiamo di camminare su quella che immaginiamo e speriamo sia la strada principale. Proseguiamo ancora per diversi minuti quando il tunnel vira ancora di 90 gradi. Vediamo la luce. Come per l’ingresso, con angoli retti, il tunnel gira lateralmente e ritorna in verticale. All’uscita vediamo la valle aprirsi in tutta la sua bellezza. Il tunnel esce esattamente nel versante opposto. Torniamo a casa e cerchiamo di capire qualcosa in più. Interroghiamo gli ex militari ma notiamo una certa reticenza a parlare del tunnel. Innanzitutto cerchiamo di capire chi abbia costruito la struttura, se loro hanno utilizzato e se sapevano cosa fosse. Nessuno riesce a darci risposte chiare. Tutti parlano di costruzioni tedesche. Gli storici però escludono la presenza di forze tedesche durante la seconda guerra mondiale. Solo Jim (ex militare americano che operò diversi anni sulla base NATO) ci racconta, in una discussione in privato, che il tunnel apparteneva alle forze armate italiane e che loro avevano il divieto categorico di entrare. Mai hanno utilizzato questa struttura. Jim però ci racconta di sue alcune fughe notturne nel tunnel per la curiosità di oltrepassare dei divieti. Condividiamo le nostre informazioni e fotografie con Jim. Purtroppo, per quanto risultino familiari le foto a Jim, non crediamo di parlare dello stesso tunnel.

Dopo il racconto della passeggiata sotterranea, proviamo un po’ a tirare le somme circa le informazioni su questo tunnel. Innanzitutto, dopo aver per giorni fantasticato sulla sua costruzione tedesca o americana (vagliando soprattutto questa seconda ipotesi), si scopre che esso fu costruito dall’Aeronautica Militare nell’immediato secondo dopoguerra, probabilmente tra il 1950 e il 1953. Il materiale elettrico è marcato ILME, una azienda italiana leader nel settore dell’elettronica e presente dalla fine degli anni ‘30. Già nel dopoguerra si voleva costruire una base di comunicazione. In quel tempo il pericolo maggiore era la Russia. Oggi può sembrare fantascienza, ma quel luogo fu deposito di armi e la particolare struttura serviva proprio a proteggere da eventuali esplosioni interne o esterne. Probabilmente si prevedeva la presenza di notevoli quantità di uomini tanto da costruire bagni, notevoli sistemi di aerazione, grandi bacini idrici e complessi meccanismi idraulici. 
Come scrivevamo sopra, il nostro racconto e le nostre immagini non soddisfano la memoria del nostro “collaboratore” americano. Jim ci racconta di un tunnel molto lungo, pericoloso, con un dislivello di diverse decine di metri. Ci racconta di un tunnel che porta da sopra il santuario fino ai tornanti oltre la stazione della funicolare. Tunnel a diversi piani con diverse ramificazioni. Abbiamo setacciato il versante est della montagna senza cavarci nulla di buono. Chissà, magari la memoria di Jim è offuscata, magari è stato abbattuto o coperto, oppure la fitta vegetazione ormai rende irriconoscibile l’ingresso e l’uscita, oppure è frutto solo dell’immaginazione. In ogni caso, per cronaca, abbiamo deciso anche di raccontarvi ciò che ancora non abbiamo avuto modo di verificare.


Oltre il Tunnel Militare, la tradizione orale ci racconta di un Tunnel nell’interno dell’Abbazia che probabilmente nella sua storia fu anche rifugio per centinai di persone durante i bombardamenti del 14 settembre 1943. Gli Scritti dell’allora Abate Giuseppe Ramiro Marcone (n. 1882, San Pietro Infine-CE; m. 1952, Arezzo) descrivono il santuario come meta e rifugio dei primi scampati. L’abbazia nei giorni successivi diventerà la casa per intere famiglie sfuggite all'orrore delle bombe (Biblioteca Statale di Montevergine,?).

Riusciamo a coinvolgere l’Abate del Santuario di Monte Vergine nelle nostre ricerche sui tunnel militari, tanto da convincerlo senza alcuna pressione a farci entrare e visitare il tunnel “segreto” dell’abbazia. Un monaco ci verrà a prendere all’ingresso per poi condurci in un labirinto di stanze e cortili, per poi ancora accedere ad una piccola parte dell’immensa biblioteca dell’Abbazia. Qui si accede ad un altro corridoio, dove una porta di grande dimensioni è chiusa con un masso. Tolto il masso, si accede ad una seconda porta, certamente molto antica. La si apre ed inizia il tunnel dell’abbazia, che per circa un centinaio di metri costeggia l’attuale sentiero che porta dall’abbazia al “Rifugio delle Aquile”. È una struttura visibilmente molto antica, con pipistrelli, serpenti e topi da rendere questo ambiente poco accogliente ma magnificamente suggestivo.  

Come mostrato dalle varie questioni che abbiamo cercato di aprire e di dipanare con la nostra poca conoscenza della questione, Monte Vergine è un territorio complesso, per via delle varie sfaccettature che esso possiede, e al tempo stesso suggestivo, grazie anche a questi tunnel (o gallerie, fate voi) intriganti che, come ogni altro masso o albero lì sul versante, ne compongono la storia.
 

La storia di questa base NATO, inevitabilmente, e sin dalla sua nascita, si copre di leggenda e di storie fantasiose, che chissà se avranno qualcosa di veritiero. In particolare, vogliamo ricordare alcune testimonianze di persone che ricordavano il passaggio di grandi camion con materiale coperto: missili da utilizzare eventualmente contro l'URSS. Tali storie, in realtà, sono state alimentate anche da alcuni militari che raccontano di silos vicino le cisterne di acqua, in prossimità dell’officina, dove erano contenuti questi famigerati missili. L’operazione sarebbe stata azionata da una vecchia stazione militare italiana nelle zone vicino la base NATO.

Nelle nostre conversazioni con gli ex militari che hanno preso servizio sulla base di Monte Vergine, spesso ci siamo chiesti cosa fare di quel luogo. Come rendere quello spazio, tanto per utilizzare termini a noi familiari. Uno Spazio da rendere alla natura, alla memoria, al ricordo. Qualcuno dice che la vetta dovrebbe ritornare verde e folta di alberi, qualcuno una targa per ricordare un pezzo di storia. Altri descrivono la piattaforma di cemento abbandonata come una sepoltura di ciò che è stato. Innanzitutto bisognerebbe capire di chi è quel luogo: comune di Mercogliano, Avellino, Ministero della Difesa, suolo destinato ancora a usi militari. Bisognerà quanto prima fare chiarezza su queste vicende. Poi, visto che sognare non è peccato, ci piacerebbe che quel luogo ritornasse a vivere nella vista di chi ha voglia di guardare le nuvole dall'alto, chi vuole spingere la vista oltre l'orizzonte, chi vuole sentire un contatto diretto con il cielo. Immaginiamo un luogo che sia punto di arrivo e di partenza per sentieri. Una strada più curata per arrivare in cima, una staccionata da sostituire ai cancelli in ferro, delle panchine, una fontana, una piccola parabola in pietra per ricordare la storia di quel luogo. In ogni caso qualcosa di estremamente semplice. Qualcosa per chi ha ancora voglia di poesia, di orizzonti, di silenzi, di natura, di Irpinia, che da lì osserva mari e montagne amiche.

 

Se volete:

Altavilla F., 2006, Sotto un cielo che diventerà azzurro, Guida Editore, Napoli

Biblioteca Statale di Montevergine, ?, 15. Marcone- Bombardamento su Avellino,  in http://www.montevergine.librari.beniculturali.it/index.php?it/342/opere/92/15-marcone-bombardamento-su-avellino, accesso 8/12/2012

Mongelli G., 1965-1978, Storia di Montevergine e della Congregazione Verginiana, VV. 8

 

 

 

TUNNEL MILITARE

 

 


 

 

 

TUNNEL ABBAZIA

Share